
La suprema difficoltà: trovare il neurologo giusto
Qualche mese fa l’app di Migraine Buddy mi ha proposto di partecipare ad un sondaggio sulla mia emicrania ed, in particolare, sul mio rapporto coi neurologi durante questo percorso ad ostacoli che è la lotta alla Bestia. La cosa mi ha spinto a riflettere molto in profondità su come questa figura sia fondamentale per noi e come, purtroppo, non sia facile incrociare il neurologo giusto.
Per la maggior parte di noi trovare un neurologo adatto al proprio caso, compatibile con le nostre esigenze, carattere e necessità è difficile quanto cercare un ago in un pagliaio. Durante una tempesta. Con un attacco di emicrania in corso.
Dai risultati della ricerca è emerso che oltre la metà degli intervistati aveva risposto di essersi rivolto a 5 o più neurologi per il proprio caso di emicrania. Indubbiamente un dato importante che mi ha fatto riflettere sul mio percorso.
Allora non sono sola!
Quando a poco più che vent’anni avevo iniziato ad essere insoddisfatta delle cure e del trattamento del mio primo neurologo l’iniziale sensazione che avevo provato era stata la colpa. Si, la colpa. Lui il luminare (per me ogni dottore all’epoca era IL luminare) io la ragazzina che non riusciva a farsi capire o sicuramente non aveva specificato qualcosa di fondamentale nei pochi minuti a disposizione. Non fraintendetemi, la prima visita non era stata malvagia. In una ventina di minuti avevo raccontato cosa mi stava accadendo, ero stata visitata ed ero uscita con una diagnosi di cefalea tensiva e emicrania senz’aura. Niente risonanza, niente altri esami di approfondimento, niente cure preventive fossero queste medicinali o alternative.
Niente
Ovviamente ero rimasta perplessa perché della mia malattia sapevo poco o nulla. Da dove veniva? Come funzionava? Perché era scoppiata così forte da pochi anni?
Nel nostro primo incontro praticamente nessuno di questi dubbi era stato fugato ma semplicemente mi era stato detto che l’emicrania era una cosa “normale” per molte persone, ero stata invitata a tenere un diario degli episodi per vedere se la situazione peggiorava e prendere Tachipirina1000 e Difmetrè al bisogno.
Fine. punto. stop.
Se potessi viaggiare indietro nel tempo andrei a questo preciso momento e direi ALT, fermi tutti. Qualcuno mi spieghi meglio perché l’emicrania non è un dito rotto, metto il gesso e si sistema, non è una gola un po’ arrossata per cui basta uno spray e si cura . Se la diagnosi è emicrania è una predisposizione genetica con la quale dovrò convivere in eterno, potrò puntare al renderla non cronica, magari ad avere pochissimi attacchi all’anno, ma sarà sempre parte di me. E una cosa del genere va spiegata, e molto, mooooolto bene!
Ovviamente, visto che il telecomando per tornare indietro nel tempo e rimediare agli errori non l’abbiamo ancora inventato non ho potuto sistemare questo “dettagliuccio”. Così, come molti emicranici prima di me, visto che le cose peggioravano sempre ho iniziato il..
“Neurologo Tour”
Anno dopo anno, armata del mio diario dell’emicrania mi sono presentata a nuove visite sottoponendomi a nuovi approcci e nuove terapie.
Se mai faranno il film della mia vita questo pezzo esigo sia girato tipo la scena delle stagioni che scorrono in Notting Hill con Ain’t No Sunshine in sottofondo…perfetta.
C’è stato il neurologo “old style” che mi ha prescritto le prime terapie preventive dopo avermi tamburellato le ginocchia con un martelletto per i riflessi dell’anteguerra.
C’è stato “l’indagatore” che prima di cambiarmi terapia mi ha (anche giustamente) fatto fare risonanza, visita dal cardiologo, ecodoppler e non ricordo più che altro per vedere che la mia emicrania non nascondesse altro e che potessi assumere le nuove medicine senza problemi.
Sono poi approdata “al fenomeno” del Centro Cefalee, per il quale avevo aspettato un anno per poter avere l’appuntamento visto il pienone, che dopo una visita di 7 minuti (sottolineo 7) mi aveva liquidato con il Laroxyl e il consiglio di fare qualche seduta di agopuntura.
Sconfortata, anzi, diciamolo chiaro, disperata, nel ridente 2016 avevo deciso di sospendere ogni tipo di terapia, mollare il colpo.
Di sicuro non mi sarei messa a prendere uno psicofarmaco dopo una non spiegazione di qualche minuto. Poi mi conosco, dico che mollo ma non mollo mai. Così dopo mesi di sofferenza e cure alternative inefficaci ho deciso di provare anche il Laroxyl al grido di “tanto peggio di così”. Nel frattempo però Santa Mamma aveva trovato un altro neurologo da tentare e, visto che avrete ormai capito che sono più testarda di un mulo, ho deciso di tentare anche questo.
L’ultimo neurologo
Quello che attualmente mi segue, non ha certo risolto il mio problema, non ha compiuto miracoli ne magie, ma ha fatto una cosa che nessuno dei precedenti era stato in grado di fare: mi ha ascoltata. Ha preso un’ora del nostro tempo e lo ha passato a chiedermi tantissime cose per approfondire ogni elemento che potesse incidere sulla mia emicrania. E mica solo alla prima seduta, anche a quelle di controllo. Famiglia, eventi traumatici, abitudini, sport, lavoro, quando vengono gli attacchi e come sono e tanto altro. Per la prima volta in un decennio mi sono stati spiegati i meccanismi base della mia condizione, i trigger più frequenti, a cosa stare attenta ma, soprattutto, per la prima volta, ho avuto il piacere di essere ascoltata veramente.
Dalla ricerca di Migraine Buddy che ho citato all’inizio il 53% dei pazienti si dichiara non capito appieno dal proprio medico, quasi il 60% dei pazienti ha detto che i trattamenti prescritti non hanno dato effetti e il 24% ha segnalato visite troppo brevi. Il 79% asserisce che ha dovuto vedere almeno due medici prima di ricevere una diagnosi di emicrania.
Com’è possibile?
Mancanza di dialogo. Se non passano più di 7 minuti con noi (a volte eh, mica sempre) come possono capirci e quindi aiutarci? E se non ci sentiamo capiti o non ci viene spiegata bene la natura della nostra condizione è inevitabile che finiamo per saltare da un professionista all’altro in cerca di spiegazioni e soluzioni restando, immancabilmente, disillusi.
L’emicrania è una malattia molto particolare in cui la soggettività del paziente ha una componente fondamentale, una terapia preventiva può essere perfetta per un soggetto e inutile per un altro, così vale per i farmaci e per i trigger. Ricevere informazioni per comprendere al meglio la nostra condizione ci può aiutare non solo a gestire al meglio gli attacchi e a prevenirli ma anche, credo fermamente, a non mollare nei momenti più bui. Perché sappiamo sempre più cose della Bestia che stiamo affrontando, e se la conosci fa meno paura.
Il nostro è un mondo poco chiaro, per noi che ne soffriamo e per i medici che ci curano, ma se tutti facciamo un passo avanti in più credo che si possa davvero ottenere qualcosa. La settimana di conferenze con i neurologi che è appena passato mi ha esattamente insegnato questo, il dialogo è fondamentale, l’informazione corretta è fondamentale. Da ambo le parti, visto quanto è soggettiva la nostra malattia.
Pertanto mi rifaccio alle parole del Professor Barbanti che ho sentito in una conferenza questa settimana (e che consiglio a tutti di riascoltare): migliorare è possibile, ma servono neurologi colti, neurologi che spieghino e pazienti diligenti.

